C’è il neon nel fare luce sulla volontà di rendere visibile una misteriosa tensione verso l’infinito di Paolo Scirpa (Siracusa, 1934), nel ripensare la pittura in oggetti scultorei e ambienti che alterano la percezione dello spazio. Pittore siciliano che vive e lavora a Milano dal 1968, l’anno del terremoto del Belice e delle rivoluzioni sociali e culturali, dell’occupazione della Triennale e delle sperimentazioni di nuovi linguaggi artistici. Scirpa, a partire dai Ludoscopi (1970), lavora per serie ripetute e riconoscibili, dopo aver abbandonato la bidimensionalità per la modularità e tridimensionalità con oggetti volti a superare la barriera tra scultura e pittura, come Lucio Fontana insegna a partire dal primo Ambiente spaziale del 1949. Qui, la luce e gli specchi presentano una personalissima idea di architettura, diversificando la sua ricerca da quella ottico-cinetica dell’Arte Programmata sviluppata tra il 1959 e il 1966 dal Gruppo T, dal Gruppo Enne, dal Gruppo Zero o, ancora, dal Gruppo MID. Nel suo neon si concentra la trascendenza della luce, come epifania dell’assoluto dal quale proveniamo e a cui tendiamo, evocando una dimensione simbolica, quella osservata nei mosaici bizantini visti in Sicilia nella Cappella Palatina del Duomo di Monreale (Palermo) o di Cefalù, lontana dalla fascinazione oggettuale di struttura, fisicità, ricerche ottico-cinetiche dell’Arte programmata.
Neon e specchio, attraverso forme geometriche, soprattutto cubiche, si estendono verso l’infinito e configurano una luce “ideale”, simulando spazialità illusorie capaci di abitare e attraversare gli ambienti con effetti luminescenti che sembrano progettati per far rimbalzare, inciampare e amplificare lo sguardo di chi cerca non la luce in sé, bensì il “tutto” che essa include. Le sue sculture realizzate con tubi al neon non sono semplici segmenti di luce giustapposti, ma fenomeni che trascendono la quotidianità per anelare a una “infinitudine” amplificata dagli specchi, quasi una citazione barocca, insita nell’architettura siciliana, alla ricerca di nuove profondità spaziali attraverso geometrie ripetute e linee del colore.
L’artista, a partire da Megalopoli Consumistica (1972), si cimenta in installazioni in cui pittura e scultura dialogano tra loro e sembrano una rappresentazione bidimensionale dei Ludoscopi. C’è un rinvio a qualcos’altro d’indefinibile e ipnotico nelle sue opere; concentrate sul fenomeno dell’effetto vorticoso, queste imbrigliano un istante luminoso che si iscrive nell’eternità attraverso solide forme geometriche che si staccano dal reale e sembrano fluttuare nello spazio, creando una situazione in evoluzione di fenomeni ottici che modificano la percezione del tempo perché sempre contemporanee. Dagli anni Ottanta, Scirpa, coerente alla sua necessità di sperimentare nuovi percorsi, realizza una serie di interventi progettuali inserendo le sue “voragini” luminose in architetture e ambienti concepiti come traslazioni di Ludoscopi bidimensionali e pitture. Anche i suoi fotomontaggi, dal 1983 al 2007, mirano all’inganno ottico con progetti urbanistici stranianti, in bilico tra città ideale, futurista e metafisica insieme. Dichiara l’artista, nel 1997: “L’infinito mi ha fatto sempre riflettere intimamente ed è stato il movente del mio operare artistico, volto anche a indagare i diversi livelli della realtà estetica all’interno della nostra società tecnologica e consumistica”. Pittore di forme di luce elettrica, maestro di un’indefinibile “illusività” in bilico tra scienza e arte, Scirpa ha sempre sviluppato intersecazioni e traslazioni tra pittura e scultura, in cui la luce e le sovrapposizioni di segmenti al neon con strutture modulari inscenano sconfinamenti. Lo distingue la sua coerente ricerca di “alterità” dalle correnti ottico-cinetiche, seppure allineato intorno allo studio della percezione con il tubo fluorescente; non è interessato all’opera d’arte come “prodotto” industriale destinato alla commercializzazione e consacrazione mediatica, ma introduce attraverso una funzione simbolica della luce una ragione filosofica del ruolo dell’arte. Le sue opere minimali e cariche di energia dinamica presuppongono una lettura umanistica, contro la caduta della dimensione ideale-spirituale dell’arte, in cui valore metafisico e strumentale coesistono in forme pseudo scientifiche dove s’infrangono prospettive di luce illusoria in voragini ipnotizzanti. Le sue sculture di luce, dall’intensità pittorica, comportano un ribaltamento tra interiorità ed esteriorità, all’insegna di una libertà espressiva e di un rigore compositivo classico, in cui il fine è l’armonia tra le singole parti e il tutto. Sono opere centrifughe e centripete al tempo stesso, complice è il buio nella quale si iscrivono; un segmento di luce sopra l’altro, e in mezzo a quello spazio vuoto lo sguardo prende il volo. Paolo Scirpa è contemporaneo nel coniugare l’aspetto tecnico-scientifico funzionalista del neon, materiale icona della modernità, con quello simbolico-umanista delle sue variazioni di luce che, come le Variazioni di Goldberg di Johann Sebastian Bach, prevedono la centralità dell’uomo, strumento di percezione, per modificare, più dello spazio, la dimensione del tempo, scombinando la ricezione del mondo esterno nell’attimo della configurazione di un frammento d’infinito.