Con Miklos N. Varga, Spazio 92, Milano 1992
Nel giro di sei-sette anni, Paolo Scirpa ha elaborato una “strategia dell’attenzione” incentrata su tre filoni: la città, colta a volo aereo e ridotta a essenziale planimetria di percorsi intrecciati; l’oggetto moltiplicato nell’accumulo di contenitori a perdere secondo la logica della società dei consumi; le ricerche di semiologia ottica, programmate seguendo la combinatoria strutturale delle forme primarie, realizzate in contenitori con luci al neon. Parallelamente egli ha tradotto queste ricerche in una serie di opere grafiche, dai “collages” polimaterici alla stampa (serigrafia, litografia, xilografia).
La tesi “sociologica” di Scirpa, riguarda, passando dalle planimetrie cittadine al “processo di ricerca” attinente agli oggetti di consumo, l’ingombro alienante e tautologicamente irreversibile delle sovrastrutture che interferiscono nella realtà del vivere, mutuando prospettive e orientamenti a livello di incidenza “macrostrutturale”. Di qui l’oggetto prende connotazioni “altre”, ossessive, al punto di configurarsi alla nostra attenzione quale “macro-oggetto” dotato di autosufficienza comunicativa.
Ora se esiste una retorica dell’oggetto, intrinseca alla prassi consumistica, ciò risiede nell’appropriazione feticistica del suo “valore” d’uso, in quanto merce scambievole dalla domanda all’offerta o viceversa. Ma il quadro non sarebbe completo se non venisse attribuita all’oggetto-feticcio un’altra proprietà: quella di rappresentare se stesso, assumendo un “ruolo semantico” contestuale alla retorica della comunicazione massiva.
Sulla scorta di dati tecnologici e consumistici, Scirpa ha decontestualizzato l’oggetto-feticcio dall’area referenziale cui appartiene al fine di appropriarsene liberamente (anche ironicamente, attraverso la promozione a “macro-oggetto”) nell’ambito di un nuovo assetto strutturale (nel contenitore illuminato che moltiplica la specularità del contenuto). Così assistiamo alla messa in scena di oggetti risemantizzati: il movimentismo interno richiama al Futurismo (linee-forza simmetriche), mentre l’assemblaggio aggancia l’enfasi mercificatoria della Pop Art e del Nouveau Réalisme alla programmaticità delle ricerche cinetico-visuali. Però bisogna aggiungere che Scirpa non vuole affatto “ricuperare” per innovare; semmai il suo “programma iconografico” consiste nel fare esperienza per capire, individuando nell’accumulazione degli oggetti il senso di un’operazione alternativa, cioè di rifondazione metaforica degli elementi strutturali , come il ciclo “Semiologia ottica” (1975-76) evidenzia costruttivamente nel segno-luce che viene esemplificandosi nell’alternanza geometrica delle forme (cerchio, quadrato, rombo) e dei colori fondamentali (rosso, azzurro, giallo). Ed è appunto nella trascrizione grafica di questa “semiologia ottica” che Scirpa, come ha fatto nei cicli precedenti, consegue sullo spazio-superficie del foglio le varianti ottico-percettive della sua recente “Dialettica d’una idea”.
Milano, maggio, 1976