Il percorso della ricerca di Paolo Scirpa sembra snodarsi con un andamento tortuoso, che tuttavia mantiene saldamente costanti il suo senso e la sua direzione. Scirpa ha sempre lavorato a partire da una concezione dello spazio che si è resa a volte virtuale ( ìi suoi piani di luce che scandagliano una profondità concettuale, prima ancora che percettiva), a volte oggettuale (le grandi composizioni realizzate con migliaia di involucri dei più svariati prodotti di consumo), a volte critica (i suoi interventi nell’ambiente architettonico, tesi a spiazzarne, ma in pari tempo ad arricchirne, il sistema dei significati) e a volte addirittura analitica (le sue riduzioni di antichi capolavori a un’immagine computerizzata, nella quale la struttura pittorica si esalta nella scomposizione elettronica e trova il suo contrappunto nel segno della “spirale” che riconduce l’intera operazione alla matrice razionale dell’intera operazione).
Questa centralità dello spazio non è però, nel lavoro di Scirpa, né di natura estetica né di carattere scientifico. La sua “razionalità” – o, se si preferisce, la sua “concettualità” – hanno obiettivi più ardui e lontani di quelli che si sono posti, vanamente, il “razionalismo” e il “concettualismo” del XX secolo. Per intenderne i fondamenti, bisogna rifarsi alla struttura intrinsecamente architettonica delle opere di questo artista, a partire dagli Habitat realizzati fra gli anni Sessanta e i Settanta, con le successive Simulazioni consumistiche , fino alle ricerche ottiche dei Ludoscopi, che si sono infine aperte alle Composizioni modulari e ai grandi progetti di interventi urbani. In che cosa consiste la qualità architettonica di questi lavori? Per l’appunto nella loro tensione verso un’organizzazione dello spazio capace di segnare i luoghi del pensiero, i nodi percettivi intorno ai quali l’analisi visiva può proporsi di diventare atto critico, invito alla riflessione sulla nostra situazione (intesa in senso fisico non meno che in quello culturale)
Ma l’attitudine all’analisi critica, implicita nelle opere di Scirpa, non risiede tanto nella indicazione di un ordine architettonico diverso, quanto nel tentativo sempre ripetuto di spiazzare l’osservatore con l’indicazione di altre possibilità. Le sue immagini virtuali, i suoi panorami di scatoline, le voragini geometriche disegnate nelle piazze urbane, l’arte ridotta a un’aggregazione di pixel elettronici, sono dunque altrettanti “messaggi in una bottiglia” lanciati nel mare incognito del nostro futuro: messaggi che fanno appello a una ragione più salda e profonda di quella storica che ci siamo lasciati alle spalle, e alla cui nuova architettura concettuale dobbiamo dedicarci per dare al mondo non la sua nuova immagine, bensì il suo nuovo senso.
Milano, dicembre, 1995