Affacciarsi per la prima volta sul pozzo luminoso e infinitamente profondo di una creazione di Paolo Scirpa è un’esperienza sorprendente: quell’abisso sconfinato potrebbe provocare angoscia oppure esercitare un’attrazione inquietante, invece si prova soprattutto una sensazione di piacere, quasi di sollievo.
Questo è un primo dato su cui riflettere: con la sua opera, con i suoi giochi illusionistici di specchi e luci colorate, Scirpa vuole gettare uno sguardo sull’abisso, aprire una finestra sul mistero. D’altra parte, per lui la dimensione del mistero non è qualcosa di cupo, di ostile: è la vertigine di potere, almeno con la fantasia e con l’arte, superare tutti i limiti, spezzare i vincoli della normalità, dell’ovvio e del risaputo.
Nel video che illustra la mostra antologica che l’artista ha tenuto qualche anno fa alla Galleria civica di Gallarate, Rossana Boscaglia ha colto con grande precisione il nocciolo della sua opera: una ricerca di rigore, di misura, che non esclude né limita la fantasia, anzi la alimenta; una codificazione di forma e di stile che è il tramite per raggiungere una libertà più grande.
Proprio attraverso un uso estremo della logica si arriva a un superamento della logica banale, costrittiva, del buon senso quotidiano, per scoprire qualcosa di più vivo, di fresco, che può essere in noi e intorno a noi.
“In Scirpa – afferma Rossana Bossaglia nel commento sonoro al video – c’è una sorta di passione matematica che però, lungi dal ridurre la realtà a elementi che possiamo possedere, stringere con le mani, è proprio il mezzo attraverso cui noi spingiamo lo sguardo verso le voragini dell’imperscrutabile”
Questi oggetti si chiamano “Ludoscopi”, si tratta quindi di un gioco, e del resto il gioco è proprio quell’attività dove il rispetto rigoroso delle regole impone dei limiti, ma al tempo stesso offre stimoli alla creatività. Mi riferisco, sia chiaro, non al gioco televisivo oggi tanto caro ai più, ma al gioco infantile, attività seria, momento di studio e conquista di conoscenza, come è serio il gioco di Scirpa: il rigore geometrico, la progettazione basata su calcoli precisi, l’uso di materiali moderni, antiaccademici, come il tubo al neon, confluiscono in una ricerca che tende a trasformare lo spazio fisico in spazio spirituale, a portare nella realtà l’irreale.
Che una piccola scatola possa contenere una dimensione infinita, che la luce possa gradualmente convertirsi in oscurità sono i miracoli dell’illusione, giochi ottici che ci inducono a dubitare di tutto ciò che vediamo, a sospettare che la nostra visione del mondo non sia altro che inganno e illusione.
Ma torniamo alla domanda iniziale: come mai queste installazioni al neon non comunicano la sensazione di freddo, di noia polverosa che a volte danno creazioni di questo genere, e perché questa meditazione sul mistero, sull’oltre non provoca angoscia? Perché queste realizzazioni comunicano un senso di allegria, volentieri ci si accosta a loro, volentieri si cammina sopra questo abisso?
La ragione penso sia nel piacere del creare, del costruire con cui l’artista affronta il suo lavoro, ma ancora più nella sua visione esistenziale; nel video di cui parlavamo prima, egli afferma di avere fede: “Non come uno che sa – precisa – ma come uno che cerca”. Ma, aggiungiamo noi, è un cercare con la fiducia di trovare, e di trovare qualcosa di infinitamente meraviglioso.
Questo tono di gioco serio e questo atteggiamento positivo si accentuano nelle opere più recenti, dove i tubi fluorescenti non sono più verticali, non affondano a precipizio verso il centro della terra, ma sono obliqui, tendono a convergere, e quindi suggeriscono la possibilità di una comunicazione.
L’artista sembra volerci suggerire, regalare la speranza che le barriere che separano gli esseri umani rendendoli tra loro estranei e ostili possano essere, se non abbattute, aggirate; che, paradossalmente, proprio per sfuggire alla dilagante, eccessiva superficialità e assurdità delle chiacchiere possa nascere una comunicazione profonda, autentica; forse proprio la nostra epoca così delirante troverà la via per uscire dall’incomunicabilità che – da Cechov a Pirandello ad Antonioni – ha segnato il rapporto umano, permetterà che s’incontrino e si fondano le verità più intime e profonde dell’anima; una speranza o un auspicio, comunque un bel sogno.
Negli ultimi anni Scirpa è tornato a lavorare su un tema che lo aveva molto coinvolto nei primi anni Settanta: la riflessione sul rifiuto e sul consumismo: “La civiltà del rifiuto” o “Composizione consumistica” erano alcuni dei titoli delle opere di allora , in cui, con singolare preveggenza, l’artista aveva intuito che la civiltà del consumismo avrebbe finito per essere soffocata dagli stessi rifiuti che produceva. E’ tipico della nostra civiltà produrre con grande cura quantità enormi di oggetti privi di utilità, destinati solo a diventare rifiuti: l’imballaggio, il packaging, è uno specchietto per allodole, un oggetto nato solo per catturare l’attenzione e indurre all’acquisto, poi, esaurita la sua funzione, diventa ingombrante e devastante rifiuto.
Con le scatolette di cartone che racchiudono tanti prodotti utili e inutili, Scirpa realizza installazioni di varie forme, si lascia affascinare dai bei colori che gli psicologi della pubblicità hanno studiato apposta per indurre in noi la fiducia, per conquistare direttamente la nostra psiche senza passare per la fastidiosa ragione, e costruisce oggetti divertenti, allegri, eppure, questi sì, sottilmente inquietanti: anche da qui viene un senso di vertigine, che nasce dalla mancanza di senso, da una forma che è pura esteriorità. Il gioco della manipolazione degli oggetti diventa trasformazione e insieme presa di coscienza di un problema.
Qui, per concludere, possiamo trovare l’aspetto più interessante dell’attività di questo artista. Scirpa ama sperimentare, lavorare con gli oggetti e con le idee, ma la sua ricerca non è fine a se stessa, della pop art non gli interessa la capacità di inghiottire e rivomitare gli oggetti con variazioni del tutto esteriori e superficiali; per lui la sperimentazione è un mezzo per esprimere dei contenuti, per fare una riflessione o una denuncia, per sottolineare un aspetto del mondo circostante o per tentare un sondaggio nelle profondità dello spirito. Per questo una mostra di Scirpa non è l’incontro con una operazione intelletualistica e astratta, ma un mondo vivo, uno spettacolo dinamico e festoso da cui con piacere ci si lascia coinvolgere.
Milano, dicembre, 1995